QUI CHI NON TERRORIZZA, SI AMMALA DI TERRORE.

Abbiamo visto tutti cosa hanno fatto i fratelli Ramponi e tutti li abbiamo giudicati.

Cosa è successo all’essere umano per rifiutarsi di sentire la disperazione di un suo simile? Per non essere più capace di riconoscere nella violenza e nella distruzione un grido di dolore?

Ferma per un attimo soltanto il giudizio, la smania di dichiararti diverso da lui, migliore e ascoltalo.

Una vita racchiusa in un lembo di terra che è casa, lavoro, pelle e anima. Un gregge che dipende da te e da cui tu dipendi completamente. Al mondo non interessa. Non produci abbastanza quindi non sei abbastanza. Per continuare ad esistere non hai scelta, o credi di non averla. Mutui, banche, debiti. Forse un errore, forse un impacciato tentativo di cavartela in qualche modo. Nessuno che ascolti le tue ragioni. Avvocati, pignoramenti, aste.

Fallimento e poi lo sfratto, per te come per le altre bestie.

La dignità svanisce insieme alla speranza. Se vieni trattato come un animale, non puoi coltivare la saggezza di un filosofo.

Ora sei certo di non avere altre opzioni.

Isolato, messo all’angolo e disarmato. Se resta solo la scelta tra essere vittima o carnefice, in quanti cammineranno mansueti verso la punizione e quanti, invece, si ribelleranno?

Un gesto estremo non vuole essere giusto o sbagliato, è solo necessario per chi lo compie. Il vostro giudizio è ininfluente.

Se ci si limita all’indignazione si continua ad evitare le solite domande.

State indicando il colpevole o avete scelto semplicemente il colpevole più comodo, quello che non vi mette in discussione, che non vi obbliga ad un cambiamento? Il vostro giudizio affrettato è indizio di un senso di colpa, di una richiesta di indulgenza collettiva?

Se è giusto che ognuno si assuma le responsabilità delle proprie azioni, perché sono solo io il mostro sbattuto in prima pagina? Lo stato, le banche, con i loro giudici e i loro campioni dell’ordine, con le loro leggi e la loro burocrazia e voi, bravi cittadini immacolati, vi meritate davvero solo applausi? Quando vinci è merito del sistema, quando perdi è colpa tua.

Comodo, forse un po’ troppo.

E te che giudichi inorridito dalla violenza, perché non sei così intransigente con chi, detenendone il monopolio, ha creduto di potermi imporre un martirio per tutelare gli interessi dei soliti?

Cosa ti rende più vicino a loro che a me, cosa ti fa sentire più la loro pena che la mia?

Forse invece mi capisci più di quanto tu sia disposto ad ammettere, e questo ti terrorizza. Sai che vorrebbe dire riconoscere ad alta voce che non è giusto, mettere in discussione che tutto questo sia necessario, ineluttabile, come la morte. Sei ancora fermo nel tuo atto di fede. Credi ancora che l’unica alternativa al caos sia il baratto tra libertà e promessa di benessere che prevede il contratto con lo Stato. Il dubbio che qualcuno dei contraenti lo abbia nuovamente tradito ti obbligherebbe all’azione, lo sai. In certi casi la ribellione è legge di natura, anche se fingi di averlo dimenticato.

Non puoi non vedere come lo Stato in questa storia abbia ricoperto il ruolo di padre, arbitro, creditore e aguzzino, ma si ostini a negare qualunque responsabilità per come sia andata. Alla fine, quindi, si prende anche quello di vittima.

Pretende di scegliere per quali figli piangere, di dimenticare che anche io sono un uno di loro. Mi pone il marchio della bestia, nella speranza che basti a distogliere l’attenzione da tutte le sue mancanze. Commette lo stesso errore che fece Dio: negare che la violenza sia una sua creatura. Come si può volersi allo stesso tempo onnipotenti e incolpevoli del male?

Voi siete certamente tutti d’accordo. Fa comodo un Caino in bella mostra, per continuare a sentirsi Abele.

Di nuovo, un pò troppo comodo.

MLR

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