Casa è dove senti sia il tuo posto. Ti appartiene naturalmente, come l’abito che porti. Cosa c’è di più tuo di quello che hai indosso, sopra la testa o dentro le vene? La casa è parte di te, come una vecchia abitudine. Casa è dove vuoi tornare quando hai fame o freddo, quando sei stanco e quando non sai dove altro andare. Casa è il posto sicuro dove curare le ferite o nascondere le speranze. Senza qualcuno che la abita infatti, una casa cessa immediatamente di esserlo per diventare altro, un immobile, un investimento, una natura morta.
Avete visto i campioni dell’ordine pubblico nel loro ultimo atto eroico: sgomberare mostrando i muscoli e ostentando intransigenza, dei pericolosissimi inquilini che avevano osato continuare ad abitare lo stesso luogo anziché vaporizzarsi a comando per lasciare il posto alla cara vecchia speculazione. L’esigenza di un posto sicuro, che su questo pianeta accomuna qualunque essere destinato a vivere più di un giorno, sconfitta da un egoismo privato, da chi pretende il diritto al possesso sterile. La dignità di una persona barattata per una rendita parassitaria, con il plauso generale.
Ecco il paradosso: per permettere ad un’entità astratta di prosperare, si certifica come giusto cancellare le certezze di chi, se non altro, possiede un corpo, occupa uno spazio, ha una volontà, quindi esiste oltre ogni ragionevole dubbio. Ma esistere, a questo punto, non è più sufficiente.
Sono stati sbattuti a calci fuori dalla propria tana, accompagnati all’uscita con un bel predicozzo sulla legalità, il vivere secondo le proprie possibilità, sugli errori che hanno conseguenze, declamato in coro da una folla di passanti. Tutti d’accordo, loro possono imparare ad accontentarsi, anzi sono obbligati a farlo, così che il capitale possa continuare a crescere, per il benessere di tutti si intende. È ovvio che le magnifiche sorti e progressive richiedono, di quando in quando, qualche piccolo sacrificio. Ci si aspetta che il capro di turno lo sappia accettare con la mansuetudine che gli è stata insegnata, risparmiando allo Stato il disturbo di doverlo trascinare verso l’altare, e, a tutti, lo strazio di dover assistere a quel suo dibattersi senza scopo. Non poteva certo essersi illuso che tutto questo benessere fosse gratis.
Evidentemente una società ordinata richiede che ogni diritto sia quotato al mercato, per essere certi di garantire l’interesse generale che, di questi tempi coincide senza dubbio con quello economico dei soliti. Inevitabile se l’ossessione per la produttività diventa religione ecumenica alla quale dobbiamo tutti consacrare ogni respiro. Un organismo bulimico non può smettere di crescere e non potrà fare altro che cannibalizzare anche se stesso, ad un certo punto. Tranquillo, sempre in ordine di importanza e, quindi, di censo. Continua pure a nutrirlo se credi che il tuo turno sia ancora lontano e questo ti rassicura.
Sei così terrorizzato alla sola idea di vedere messo in dubbio il tuo status e quel poco che sei riuscito ad accumulare, perché in fondo sai che solo quello ti distingue da chi non ha niente, dal povero, dal fallito. Dietro la difesa isterica della proprietà , non c’è solo l’avidità, ma anche la paura. Di scoprire quanto poco basta per cadere, quanto sia precario il tuo privilegio. Di vivere in un Paradiso in affitto, con un padrone di casa famoso per l’intransigenza e incline allo sfratto per futili motivi. Permettimi di notare che, se in nome della tua aspirazione borghese sei pronto a riconoscerti sodale con chi sarebbe pronto, all’occorrenza, a mangiarti, non sei così in alto come credi nella catena alimentare.
Lo Stato ha reso manifesta la sua parte. Ha usato il monopolio della forza per demolire quel muro, ha sbandierato il privilegio della legge per scacciare persone inermi e disarmate a tutela degli interessi ingordi di chi esiste solo se continua ad accumulare. Te hai fatto il resto. La forza, il consenso o la fede sono sufficienti a rendere un capriccio privato un’istituzione pubblica, a trasformare un abuso in pratica comune. Lo ha fatto in tuo nome, quindi con il tuo consenso ha sfollato quelle famiglie, ha esposto la loro disperazione al pubblico e ne ha preso legittimazione, sicuro della tua inerzia. Ora che ha testato la tua devozione (come altro chiamare il tuo applauso pavloviano alla vista di questo scempio?), il resto se lo prenderà con la forza. Continuano a chiamarlo diritto ma puzza di privilegio e, se non sei più in grado di sentirne il fetore, inizia a preoccuparti.
Noi, da parte nostra, continueremo a ribadire l’ovvio.
La proprietà privata non è una legge naturale ma una costruzione umana e, come tale, siamo noi a poterne definirne i limiti.
La casa non è un investimento, un bene immobile o un eredità, è fatta per essere abitata. Come può essere un reato pretendere di usarla per il giusto scopo, quando tutti gli altri egoismi sono ritenuti legittimi?
La casa è una necessità, un diritto connaturato all’esistere, non è un capriccio o un premio da riscuotere. Eppure continuate a chiamarci abusivi, clandestini, irregolari, illegali. Ci chiamate in ogni modo, ma noi siamo solo quello che siamo sempre stati: esistenti, viventi e per questo non potremo fare a meno di continuare ad abitare anche senza il vostro permesso, rivendicando, se necessario, ogni spazio destinato alla speculazione o all’abbandono, dove la proprietà è il vero abuso.
Mentre voi continuate a tracciare confini, inventare razze e pretendere di decidere a chi si debba concedere un diritto, noi restiamo ostinati a ricordarvi che nessun diritto ha bisogno di essere concesso perché, almeno lui, ancora non ammette padroni.