Un’altro WWOOFing è possibile?

DISCLAIMER: il seguente testo vuole aggiungere un punto di vista non tanto sul WWOOFing in linea teorica ma sulla sua esposizione a interpretazioni egoistiche o speculative. Queste alterazioni vanno prima di tutto a discapito di chi, con buone idee e migliori intenzioni, lo vede legittimamente come strumento di opposizione alle logiche di mercato della GDO e di sopravvivenza di pratiche virtuose altrimenti difficilmente sostenibili.

IO : WOW leggi questo…

Scopri il tuo viaggio nella natura! Unisciti a WWOOF e vivi un’esperienza unica: lavora insieme a contadini biologici, impara tecniche ecologiche, immergiti nella vita rurale. In cambio di poche ore di lavoro al giorno ottieni vitto, alloggio e conoscenza.

Sii parte del cambiamento! Iscriviti come WWOOFer , scegli la fattoria e preparati ad un’avventura.

ME: Non credo mi piacerebbe…

IO: Sei sempre il solito. Cosa ci può essere di sbagliato in uno scambio equo e senza scopo di lucro, basato su fiducia, apprendimento e condivisione di valori? Braccia in cambio di ospitalità e conoscenza, la dimostrazione pratica che un altro sistema sia possibile…praticamente l’umanità nella sua versione migliore che lotta, seme dopo seme, per il Bene Comune. Non ne vuoi far parte?

ME: Di sbagliato non c’è niente, almeno nelle intenzioni. Il problema, come sempre, è l’applicazione dell’idea nella realtà. Dobbiamo renderci conto che questa non è tanto l’umanità migliore ma solo quella che se lo può permettere. Rifletti: solo chi può lavorare gratis può combattere per la causa e sempre loro soltanto possono permettersi i frutti di quella lotta. Noi la spesa la facciamo al discount, e non credo che vendano l’olio a Km0… hanno il lusso di coltivare valori assieme alle zucchine e venderle a caro prezzo: anche la qualità della vita diventa un privilegio di classe.

IO: Vabbè, allora nessuno deve fare niente perché te non te lo puoi permettere… mi sembra solo invidia personale e vittimismo…

ME: Se vogliamo parlare di rivoluzione non possiamo lasciare spazio a compromessi, per quanto seducenti. Ma andiamo avanti. Secondo problema: l’entusiasta volontario apprezzerà sicuramente il sapore esotico dell’esperienza. Vivrà giorni in un’ode bucolica, gusterà la fatica e imparerà sicuramente qualcosa.

IO: Esatto! Se l’ospite è appagato e l’ospitante è soddisfatto perché mai continui a fare il menagramo?

ME: Il problema è che il volontario sostituisce il lavoro strutturale! Credi che qualcuno cerchi WWOOFer quando i campi riposano o ci sono da fare solo le manutenzioni quotidiane? Arriveranno a frotte solo per le incombenze stagionali: le raccolte, i trapianti o le lavorazioni della terra qualsiasi esse siano. Guarda caso proprio quando servirebbe stipendiare tanti braccianti.

Ed ecco il doppio inganno: qualche ospitante vedrà aumentato il suo margine di profitto senza dover ridurre il prezzo di vendita. Potrà anzi speculare sulla bontà delle pratiche che lo sfruttamento del lavoro dei suoi devoti -al costo di due pasti al giorno- rende sostenibili. Sembrerebbe rifiutare il sistema solo nella parte in cui è lui a dover dare, non quando passa a riscuotere. Capisco che la lotta debba fare i conti con il fine mese, ma la dignità è affare di tutti, non solo del padrone di casa.

IO: Quello che è sempre successo con gli apprendisti di bottega, non fare la verginella!

ME: Il garzone di bottega scommetteva il suo futuro in quella volontaria o necessaria sottomissione al maestro in cambio dei soldi per il cinema. Il mestiere gli entrava sotto pelle come una spina o una scheggia di legno, fino a sovrapporsi alla sua identità. Partecipava al quotidiano, rubava con gli occhi ogni gesto, diventava parte della bottega, aspettando il momento di essere pronto ad averne una solo sua.

Il volontario alla ricerca di una vacanza stimolante avrà una formazione mordi e fuggi, necessariamente parziale. Potrà certo dirsi arricchito dall’esperienza e crogiolarsi nell’approvazione del maestro, ma sarà sempre a rischio di rimanere poco più di un turista delle campagne, un contadino della domenica, un amatore.

Sicuramente un cliente ideale: ricco di tempo, possibilità e risorse, pronto a difendere il valore del prodotto o del progetto ad ogni chiamata alle armi.

Mi sembra si sia creato un bisogno (dal pomodoro che non ha subito l’onta della zappa al workshop sui biolaghi e le colture idroponiche in vasi di plastica e fertilizzanti), e quindi un mercato per un prodotto. Allo stesso tempo si sono garantiti un pozzo da cui attingere forza-lavoro a volontà.

IO: La rivoluzione non è una scampagnata e non è di certo gratis.

ME: A me più che rivoluzione sembra il vecchio sistema che si adatta ai tempi.

Sai quale sarebbe un vero cambiamento? Liberare la terra dal ricatto del profitto. Non cercare il modo di rendere quella pratica economicamente sostenibile, di adattarla alle leggi di mercato. Non chiedere di donare tempo ma mutuo appoggio.

Non un esercito di volontari ma di soci che partecipano equamente al prodotto del proprio lavoro. Così si condivide davvero tutto, dalla fatica al frutto.

Se seminare è un atto politico deve esserlo anche la raccolta.

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